Fuori posto
“Mi sento a posto. Sento che la mia tristezza è a posto. Che la mia pesantezza è a posto. Che il fatto che ogni tanto ho bisogno di nascondermi dal mondo è a posto”.
E. Nevo, in “La simmetria dei desideri”
“A volte mi sento fuori posto” è un incipit ricorrente nei colloqui. Lo sento spesso, e spesso è l’espressione di chi sta vivendo un passaggio. “Sentirsi fuori posto”, “mettere a posto qualcosa”, “prender posto”: tutto mi dà l’idea della necessità di ricollocarsi. Emigrare verso nuove posizioni, perché quelle vecchie stanno troppo strette addosso, non calzano più, ma non ne esistono ancora di nuove. Ecco quindi quella scomoda, se non francamente angosciante, posizione di un “non-posto”, dove quello che è stato non è più, e quello che sarà è ignoto, fa paura. Si naviga a vista, si procede a piccoli passi perché i punti di riferimento, vere e proprie ancore di salvezza, vengono ora analizzati criticamente, messi in discussione.
Sentirsi fuori posto è un’occasione, preziosissima.
Si tratta di trovare delle nuove coordinate, personali e soggettive, un nuovo paradigma entro cui muoversi. Morire e rinascere, tante volte.
Riposizionarsi è faticoso (eccome!), richiede più di uno sforzo, parte dalla necessità di osservarsi “da fuori”, fare i conti con quelli che siamo, anche quando non ci piace. Trovare una collocazione a tutti i mondi che ci abitano e che, a nostra volta, abitiamo. E sentirsi nel posto giusto.