Corpi spezzati
Nel 1985 Anzieu scriveva che il corpo è all'origine dell'lo, frutto degli scambi tra il soggetto e il mondo, tramite un luogo, la pelle, che veicola scambi emotivi e affettivi. Un lo che si differenzia da un non-lo tramite la superficie del corpo, che delimita interno ed esterno, altro da sé. Corpo per conoscersi e per conoscere. Adotta un linguaggio a parte per esprimersi, media pensieri non ancora formulati e parole non ancora pronunciate. Parafrasando Merleau-Ponty, col movimento del corpo si tende alle cose del e nel mondo. Ecco perché Galimberti parla di "corpo comunitario": permette l'esplorazione, introduce ad una socialità di cui si fa veicolo: una stretta di mano forte, molle, aperta dice di sé, della persona cui appartiene. Il corpo in tal senso è relazionale, agisce scambi, comunicazioni e condivisioni di significato.
E che succede quando si rompe, si spezza? Quando da veicolo per il mondo diventa ostacolo da superare?
Se il corpo è il luogo dell'identità, ciò che gli si toglie (o aggiunge) modifica il rapporto col mondo.
Tra le varie fratture che un incidente può causare, c'è anche quella del riconoscimento di sé: il "non sono più quell* di prima" diventa "non sono più". Si fa fatica ad abituarsi ad una carrozzina, ad un arto amputato, alle stampelle. Come scrive Le Breton, l'handicap risveglia l'angoscia, il portatore ricorda l'insostenibile fragilità della condizione umana, cosa che la modernità si rifiuta ostinatamente di pensare. Il corpo mutilato è un corpo che da attivo si fa passivo, oggetto di cure.
Da qui, l'importanza di ripartire dalla pelle, dal contatto con l'altro per prevenire l'estraneità, l'alienazione, la solitudine: si riavvia un dialogo più "primitivo", si ricostruisce una relazione tramite il tocco, si pensano nuove possibilità di essere e divenire. Un contatto che è entrare in ascolto, in sintonia con l'altro, un contatto che grida "sei vivo!", che invita ad un risveglio, in un'altra forma.