Entrano uomini, escono matti
Agosto 1968: su “L’Espresso” Monicelli scrive un articolo intitolato “Entrano uomini, escono matti” e fotografa quelle che sono le condizioni nei manicomi toscani. Elettroshock, insulina, psicofarmaci sono all’ordine del giorno: una “violenza legalizzata” ma legittima per un soggetto definito pericoloso a sè e agli altri, oggetto di pubblico scandalo. Riflesso di una società che non ha tempo da perdere dietro chi soffre.
Ma i tempi stanno cambiando e si respira già aria di riforma Basaglia, che avrebbe portato alla chiusura degli ospedali psichiatrici nel ‘78. Si comincia a parlare di una serie di riforme illuminate da una concezione dell’essere umano che può pronunciarsi sul suo percorso di cura: non più soggetto passivo alla mercé del parere insindacabile dei medici, ma soggetto che vive e affronta attivamente contraddizioni e ambivalenze nel suo stare al mondo.
Si comincia a parlare di “centro di relazioni umane”: la strada è in salita ma la direzione è chiara. I ruoli non sono più così tanto asimmetrici, si sperimenta, si tentano nuove vie, non più solo farmacologiche ma anche relazionali, per significare l’esperienza di malattia. Non tanto incontro tra ruoli ma incontro tra persone.
Una de-istituzionalizzazione che riporta la persona al centro, valorizza l’autenticità dello scambio. Un impegno civico e politico volto a favorire il recupero dei diritti e la possibilità di riappropriarsi di una rete sociale. Un movimento vitale che rende la libertà terapeutica e la verità rivoluzionaria, nel segno di un progresso umano prima ancora che scientifico.