Diventare madre
“Dottoressa, io mi vergogno a dirlo, ma quando è nata mia figlia non ho provato quell’amore assoluto che tutti raccontano. Cos’ho che non va?”
F. abbassa lo sguardo, sospira e cerca, non senza tormento, di attribuire un senso a tutti i vissuti di fatica, inadeguatezza, spaesamento che vive a seguito della nascita di sua figlia: il peso delle aspettative (esterne ed interne) su come essere una buona madre, le decine di libri sparsi per casa su allattamento e ciclo sonno-veglia, i sensi di colpa per non sentire le farfalle nello stomaco guardando alla propria bambina, le crisi di pianto, la ricerca di perfezione in una società in cui la rappresentazione del materno coincide con un sacrificio del Sé femminile e una dedizione totalizzante al figlio.
Lascito ingombrante dell’iconografia sacra e della società patriarcale, essere madri oggi prevede un’unica traiettoria percorribile, quella di un’esperienza dai risvolti psichici e fisici soddisfacenti e naturalmente appaganti. Tutto ciò che esce dal rigido tracciato è un tabù che sa di patologia.
Ma se sradichiamo lo stereotipo e ci addentriamo nella maternità del quotidiano, ci accorgiamo delle molteplici sfaccettature, anche contraddittorie, nel ruolo di madre, in cui convivono amore e odio, avvicinamento e allontanamento, accettazione e rifiuto, che concorrono a costruire quella specifica relazione madre-bambino. Una relazione che si alimenta col tempo tramite il contatto e la conoscenza, sulla base del bagaglio di vita di quella madre, di cosa significa per lei essere figlia e divenire genitore, di come ha vissuto sulla sua pelle l’amore genitoriale, che a volte, come scrive Florita, richiede tempo e respiro.
Non esistono foglietti illustrativi su come affrontare al meglio questo delicato passaggio di vita, la nascita biologica di un figlio può non coincidere magicamente con una perfetta sintonizzazione da parte della madre. Ci sono trasformazioni nel ripensare se stessi, il proprio corpo e la propria identità, c’è il bisogno di appropriarsi e legittimarsi nel ruolo di genitore, per non parlare delle rivoluzioni interne al rapporto di coppia.
Ricondurre il processo ad un “dev’essere così” aprioristico rischia di svalutare i vissuti interni e di oscurare la complessità di un passaggio esistenziale che cambia la vita.